Normativa nazionale

Il primo riconoscimento dei diritti delle persone disabili in Italia risale alla entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana (1948).

L’articolo 3, ricalcando le disposizioni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sancisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale  e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” e che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Non c’è nessun espresso riferimento alla disabilità, anche se è possibile ricondurla alle ultime due parole “condizioni personali e sociali”, nonostante quanto emerso durante la discussione all’Assemblea Costituente, dove in riferimento alle condizioni personali e sociali veniva presa in considerazione solo la situazione dei ciechi.

Di fatto, gran parte della produzione normativa in materia di “disabilità” riprende l’articolo 38, ove si prevede esplicitamente che «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale». Assistenza quasi compensativa, quindi, una volta che siano state dimostrate l’indigenza e l’inabilità.

Il decennio più fertile, nell’ambito delle innovazioni legislative risale dalla fine degli anni sessanta alla fine degli anni settanta. Successivamente, vi è stato un altro periodo molto importante tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, in particolare, per quanto riguarda il superamento delle barriere architettoniche e dell’handicap.

Ma è con la legge 13/1989 che si attua la “rivoluzione copernicana”, così come definita dalla Corte Costituzionale: non sono le persone ad essere portatrici di handicap, ma sono le modalità di costruzione degli edifici che creano difficoltà o impossibilità di utilizzo ad alcune persone, per cui compito principale del legislatore ed amministratore è vigilare sulla progettazione e sulla realizzazione dei nuovi edifici, affinché vengano eliminate le barriere architettoniche che costituiscono un handicap per i disabili. Prima di tale legge i criteri costruttivi degli immobili abitativi erano tesi a soddisfare l’utente medio, mentre dopo il 1989, i criteri costruttivi di legge di tutte le abitazioni di nuova costruzione o ristrutturate devono tendere a soddisfare l’utente minimo.

Allo stesso modo, la Corte Costituzionale, evidenzia l’anacronismo e l’illegittimità costituzionale delle norme preesistenti alla legge 13/89, allorquando non tengano conto di tale nuova prospettiva. Ma non basta. La Corte Costituzionale va ancora oltre, quando enumera i principi costituzionali sui quali si basa la decisione. L’accessibilità all’immobile abitativo per il disabile realizza il “diritto del portatore di handicap ad una normale vita di relazioni, che trova espressamente tutela in una molteplicità di precetti costituzionali…art. 3 e 2 Cost….. ledendo in generale il principio personalista che ispira la Carta costituzionale e che pone fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana”

La legge 104/1992, denominata “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, rappresenta il tentativo più compiuto di una legge organica in materia di disabilità. Tuttavia, molte norme di questa legge risultano inapplicate o scarsamente applicate.

Il D.P.R. n. 503/1996 costituisce il completamento sul territorio urbano ed extraurbano della “rivoluzione copernicana” in materia di barriere architettoniche, introdotta con la legge 13/1989.  

In materia di lavoro e occupazione per i soggetti diversamente abili la legge 68/1999, contenente le norme per il diritto al lavoro dei disabili, sostituisce, abrogando, la legge 482/1968. Il collocamento obbligatorio diviene collocamento “mirato”, cercando, così, di venire incontro alle specifiche esigenze del disabile da collocare e dell’azienda nella quale viene collocato. Questa normativa, entrata in vigore nel 2001, si è dimostrata  tuttavia poco efficace.

Con l’obiettivo di sostenere l’inclusione socio-lavorativa, anche attraverso una semplificazione delle procedure esistenti, il DL n. 151/2015 ha modificato la Legge 68/1999. In particolare la norma prevede l’adozione di nuove linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità, che integrano i vari soggetti coinvolti e valutano in maniera onnicomprensiva tutti gli aspetti attinenti all’inserimento. L’obiettivo è omogeneizzare le varie pratiche già esistenti sul territorio.

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Ultimo aggiornamento: 08.03.2022
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